Di frequente mi è capitato di assistere a vivaci discussioni rispetto al tema dell’utilità o inefficacia dei compiti a casa e se sia giusto abolirli. Anche in questo caso come spesso accade ci sono schieramenti diversi, ognuno dei quali portati avanti da motivazioni differenti.
Il periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, fu un momento storico e sociale ricco di profondi cambiamenti nell’organizzazione delle famiglie, all’interno delle quali sempre più spesso cominciano a lavorare entrambi i genitori e da questa nuova realtà inizia ad emerge il bisogno di tutelare maggiormente il tempo e lo spazio familiare nell’unico momento della settimana in cui si poteva trascorrere del tempo tutti insieme, il sabato e la domenica. Il dibattito sui compiti a casa è tornato alla ribalta soprattutto a seguito della pubblicazione di qualche tempo fa, da parte del sito “Orizzonte Scuola”, di una circolare del Ministero dell’Istruzione datata proprio 14 Maggio 1969, che imponeva agli insegnanti di evitare di assegnare i compiti nel fine settimana per tutelare il tempo in famiglia e dare ai ragazzi la possibilità di dedicarsi ad attività ludico-sportive.
Questa circolare, che in realtà non vieta i compiti a casa ma parla piuttosto di diritto al riposo, ha dato il via ad una serie di spunti di riflessione sia all’interno delle famiglie che nel sistema scuola, ma va anche contestualizzata in un momento storico e sociale in evoluzione dove si comincia a prendere atto di un cambiamento globale della società.
Questo antico documento, in realtà, è stato surclassato nei fatti dalla legge sull’autonomia scolastica del ’99 che riconosce alla scuola piena autonomia in materia organizzativa, didattica e di ricerca. Ogni scuola, infatti, ha un proprio POF e regolamento interno.
Su questo tema si è sviluppato anche sui social network una interessante e accesa discussione con pareri divergenti.
Dal punto di vista dei docenti, i compiti anche se assegnati su contenuti elaborati in classe e proposti in modo che tutti siano in grado di svolgerli, danno modo di individuare se ci sono alunni che ancora non hanno raggiunto gli obiettivi proposti. Nel lavoro individuale, infatti, dove il bambino non è sostenuto dal gruppo, ognuno è di fronte a se stesso, verifica che cosa ha assimilato e che cosa non è ancora in grado di eseguire.
Dal punto di vista della Psicologia dell’Apprendimento i compiti sono utili ai bambini e alla loro crescita, creando un ponte di collegamento con il lavoro svolto in classe. Sono utili nell’aiutare il piccolo a confrontarsi con la dimensione del dovere facendo imparare la fatica, guidandolo a diventare più autonomo e stimolando la sua capacità ad organizzarsi e auto-gestirsi.
Come sostenuto anche dal pedagogista americano, Alfie Kohn (2006) però ad oggi nessuna ricerca scientifica ha dimostrato che i compiti siano connessi al successo scolastico, e questa è la prima considerazione di chi è contrario all’assegnazione dei compiti.
Di recente è stata anche lanciata una petizione on line che attualmente conta più di 24 mila sostenitori, dove chi è contrario ai compiti ne chiede l’abolizione nella scuola dell’obbligo perché, come viene riportato nel testo della petizione - «sono inutili, le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando con le interrogazioni o verifiche...hanno durata brevissima: non “insegnano”, nè lasciano il “segno”, un vero e proprio apprendimento passivo - .
Per stimolare un apprendimento attivo, centrato sullo studente e in cui lui ha il controllo su ciò che impara e come lo imapra, andrebbe insegnato ai bambini ad “imparare ad imparare”; questa è una competenza chiave per l’apprendimento permanente ma non sempre è individuato e portato avanti come obiettivo nel nostro scenario scolastico e questo gap rischia di rendere assolutamente inefficace il valore aggiunto dei compiti a casa.
Mi pongo alcune domande sorte durante questa riflessione: ha senso assegnare i compiti su argomenti non spiegati in classe? Ha senso assegnare compiti senza poi correggerli insieme? Senza accertarsi che gli studenti siano capaci di svolgerli bene da soli, autonomamente, senza la presenza amorevole o urlante dei genitori?
Ha senso caricare gli studenti di compiti per casa, solo perché a scuola non si ha tempo di svolgere il programma? O assegnare compiti senza insegnare un buon metodo di studio per svolgerli bene? Compiti non personalizzati e senza tenere conto delle difficoltà, risorse e interessi dei singoli studenti?
L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) appoggia i compiti nella misura in cui dovrebbero servire a promuovere l’autonomia dei ragazzi, la loro capacità di organizzare il tempo e mettere a punto un metodo di studio individuale. Una variabile che rischia di annullare il valore dei compiti rispetto alla promozione dell’autonomia è però l’interventismo di alcuni genitori che purtroppo nel tentativo disfunzionale di iper-proteggere tendono a sostituirsi ai figli e questo accade non solo in Italia.
Qualche mese fa ha suscitato scalpore una ricerca inglese dalla quale risultava che due genitori su tre aiutano i figli nei compiti mentre in un caso su sei addirittura li fanno al posto loro.
Come ha dimostrato una volta per tutte lo studio americano pubblicato nel 2015 The broken compass (La bussola rotta: coinvolgimento parentale nell’educazione dei figli), dove emerge che i genitori che assillano i propri figli non solo non li aiutano a migliorare le proprie performance ma li danneggiano rendendoli più insicuri..Con le migliori intenzioni si ottengono gli effetti peggiori come scriveva O. Wilde.
Volendo fare un confronto con gli studenti di altri paesi, di recente è stato reso noto l’ultimo rapporto dell’OCSE dal quale risulta che gli studenti quindicenni italiani sono i secondi al mondo per le ore trascorse a svolgere i compiti a casa. Superano gli italiani solamente gli studenti di Shanghai con 14h alla settimana. In Italia si parla di una media di 9h settimanali contro una media di 5h per gli studenti degli altri Paesi OCSE.
In Finlandia e Corea, che sono ai vertici delle classifiche internazionali per il rendimento dei propri studenti, le ore si riducono a tre.
Sembrerebbe quindi che la quantità di tempo trascorso a casa sui libri non corrisponda necessariamente a brillanti risultati, anzi gli studenti italiani sono piuttosto indietro nelle classifiche internazionali.
Harris Cooper, ricercatore accademico tra i più attenti al tema dei compiti a casa ha svolto numerose ricerche rispetto a questo tema.
La sua conclusione è che non c’è nessuna significativa correlazione tra compiti a casa e successo scolastico (Cooper 1989a; 1989b), quanto meno non alle elementari, fase in cui i più piccoli non sanno ancora studiare, comincia ad esserci una correlazione statistica leggermente positiva solo alle superiori.
Cooper si proclama comunque un fautore dei compiti a casa perché, anche se non connessi al successo scolastico, promuovono una buona abitudine allo studio.
Ma per evitare di sovraccaricare dando seguito ad effetti quali demotivazione e noia, le ore di studio ottimali a suo avviso, sono due al giorno.
Anzi, per determinare il giusto carico di compiti, propone una regola: assegnare 10 min di compiti per ogni anno scolastico. Quindi in prima elementare 10 min di compiti, in seconda elementare 20 min, etc… in prima media 60 min, in prima superiore 90 min. in quinta superiore 140 min (circa due ore e mezzo).
Questo criterio, sicuramente equilibrato, ci porta ad interrogarci su che tipo di compiti vadano però inseriti in questi 10, 30, 60 min? Compiti noiosi o stimolanti? Significativi o banali? Di scoperta o di ripetizione meccanica? Sono le risposte a queste domande che qualificano la vera efficacia dei compiti per casa. I compiti non possono sostituire l’apprendimento che deve avvenire a scuola, sono efficaci quando sono un supporto all’apprendimento, costituiscono una fase di consolidamento, di stabilizzazione di quanto si inizia a imparare in classe.
Concludo dicendo che, evitando una visione dicotomica e a questo punto anche superficiale di una scuola pro o contro i compiti, possiamo fare insieme alcune riflessioni, per migliorare la qualità delle attività assegnate a casa e renderle davvero efficaci.
Sarebbe utile dal mio punto di vista dare avvio ad una indagine per individuare quali possano essere gli ingredienti per rendere i compiti a casa interessanti, motivanti e in questo modo utili, soprattutto agli occhi degli studenti che sono “costretti” ad eseguirli.
Questi ingredienti andrebbero inseriti quotidianamente per migliorare l’apprendimento. Il lavoro a casa andrebbe personalizzato in base ai bisogni e alle risorse degli alunni e sarebbe opportuno fosse seguito sempre da una correzione in classe.
Con l'aggiunta di questi ingredienti i compiti, dal mio punto di vista, hanno un reale valore.
Per quanto riguarda i genitori, il tema dei compiti rappresenta una delle grandi opportunità per allenarsi a non sostituirsi ai figli, ma aiutarli ad affrontare con la loro guida e discreta presenza, le difficoltà in prima persona. In questo modo i nostri figli potranno davvero gioire dei loro successi e costruire nel tempo la fiducia nelle proprie risorse e la propria autostima.