Anoressia Giovanile e Terapia Breve Strategica

“L’anoressia non è una malattia del corpo, è come un cancro della mente”, eppure rappresenta l’unico disturbo della mente che conduce alla morte.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento geometrico-esponenziale del problema; si stima che il 90% delle giovani anoressiche si cronicizzi in un disturbo acuto e questo dato purtroppo ci conferma che ad oggi i trattamenti realmente efficaci siano davvero pochi.

Attraverso l’intervento su A., caratterizzato da tecniche specifiche all’interno di una sequenzialità di stadi, vediamo insieme quale sia la struttura di funzionamento del disturbo.

A. è una bellissima ragazza di 16 anni; brillante a scuola ma che si è progressivamente ritirata socialmente, incapace di vivere e gestire le emozioni (da lei vissute come troppo travolgenti) scaturite dalle relazioni con gli altri. E’ così che piano piano ha smesso di mangiare, intrappolata nella tipica ossessionante equazione magrezza = bellezza.

E’ diventata talmente brava a sforzarsi di ridurre il cibo, fino al punto da non poterne più fare a meno e costruire attraverso l’astinenza un’armatura protettiva rispetto alle sue emozioni.

Quest’armatura però da anestetico si è trasformata ben presto in una prigione, ovvero un irresistibile piacere all’astinenza, perchè come ci suggerisce Laborit – dolcemente le abitudini si trasformano attraverso la ripetizione in sensazioni piacevoli -.

Guidati da una visione pragmatica del disturbo, muoviamoci verso la ricerca di possibili soluzioni piuttosto che di possibili cause.

Il primo dato che emerge dalle ricerche effettuate dalla società australiana e neozelandese di psichiatria sull’efficacia del trattamento di questa patologia, è innanzitutto la necessaria distinzione tra il trattamento dell’anoressia giovanile che richiede necessariamente il coinvolgimento dei genitori, dal trattamento dell’anoressia adulta, fase in cui il peso delle dinamiche familiari lascia il posto alla responsabilità dell’anoressica adulta nel costruire ciò che poi subisce. In questo caso risulta efficace un trattamento individuale.

Come in genere accade, anche nel caso della nostra giovane A., i genitori sono divenuti ostaggio del disturbo della figlia e attraverso le loro Tentate Soluzioni disfunzionali si sono trasformati in complici.

Lavorare “su e attraverso” di loro, responsabilizzandoli, ci ha permesso di condurli a cambiare strategie e modalità comunicative e di assumere un ruolo gerarchico che faccia sentire alla figlia di non avere più potere su di loro e questo ha preparato il terreno per fornire a lei un’illusione di alternative: “hai una possibilità per evitare il ricovero, se aumenti mezzo kg a settimana. Scegli tu: o sondino o mezzo kg a settimana con un programma che costruiremo insieme”.

La tecnica di illusione di alternativa di risposta, uno degli strumenti dell’arte della comunicazione persuasoria, ci ha permesso di iniziare a condurre A. in maniera indiretta, dalla nostra parte.

Un altro dato relativo all’efficacia, che vorrei segnalarvi, riguarda i modelli di trattamento specifici che, rispetto agli aspecifici e alle terapie generali, utilizzano strategie costruite ad hoc attraverso l’uso di una logica strategica, la stessa logica di persistenza del problema, diretta ad uno scopo e costantemente orientata al cambiamento terapeutico.

Questa classe di interventi, agisce su diversi livelli. Il più importante tra questi e spesso sottovalutato (o non compreso) è l’ aspetto dismorfo-fobico del disturbo, un vero e proprio paradosso psico-fisiologico dell’auto-percezione per cui ad ogni kg perso la giovane paziente si vede sempre più grassa.

Per lanciare una fune nella buca in cui è sprofondata la nostra giovane paziente, abbiamo abbandonato la strada fallimentare della ragionevolezza che ha a che fare col meccanismo del capire e abbiamo lavorato invece nel sollecitare il meccanismo del sentire; questo ci ha permesso di agire sul cambiamento dell’auto-percezione. Se non si cura questo aspetto, la terapia sull’anoressia, non può essere risolutiva.

Il disturbo inoltre, comporta una sorta di “spegnimento del cervello”, a partire dalla sua parte più moderna, quella razionale, che si difende dalla restrizione riducendo la propria attività.

Quest’effetto ci obbliga a rinunciare ad un linguaggio indicativo-razionale tipico dei trattamenti tradizionali e ricorrere ad un linguaggio performativo, ricco di elementi suggestivi ed evocativi che ci consenta di giungere alla parte più arcaica della mente – il paleoencefalo, dove risiedono le emozioni più primitive come la paura, la rabbia, il piacere. Questa è un’ulteriore fune che abbiamo lanciato alla nostra giovane paziente.

E a proposito di piacere, aggiungo che non c’è un rapporto sano col cibo se non è coinvolta proprio la dimensione del piacere. Abbiamo così proseguito nella nostra sequenza terapeutica con lo scopo di rubare spazio alla compulsione all’astinenza, negoziando effettivamente quello che le piacerebbe mangiare di più.

Permettetemi ora di riassumere per ridefinire quanto emerso fin qui.

La terapia dell’anoressia giovanile, sempre la stessa sul disturbo a livello di tecnica, è sempre diversa sulla persona, in virtù della relazione terapeutica, che rappresenta il terzo livello d’intervento in un trattamento efficace, oltre alla strategia ed al linguaggio. Una relazione in questo caso basata sul contatto emotivo, una alternanza del terapeuta come un abile equilibrista, tra distanza-vicinanza, rifiuto-accettazione.

Questo è ciò che rende il trattamento dell’anoressia non una terapia puramente sintomatica ma un intervento che produca una completa trasformazione del rapporto che la giovane anoressica ha con se stessa, gli altri, il mondo. Attraverso un cambiamento di percezioni, reazioni e infine cognizioni.

Per raggiungere questo scopo, ricostruire come nel passato si è formato un disturbo, o lavorare per cambiare il pensiero, nulla mi dice su come interrompere la sua persistenza nel presente. E alla nostra cara A., che ha avuto il coraggio di aggrapparsi alla fune che le abbiamo lanciato, vorrei dedicare quest’aforisma di Stephen Levin “Guarire è toccare con amore ciò che abbiamo toccato precedentemente con paura”.

Per approfondimenti:

L’anoressia giovanile – Una terapia efficace ed efficiente per i disturbi alimentari. Ed. Ponte alle Grazie, 2017
Giorgio Nardone – Elisa Valteroni

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